Arrabbiati… ma fallo bene!

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ARRABBIATI..MA FALLO BENE!
Non tutta la rabbia viene per nuocere.
 
Sono le 7.30 di sabato mattina e, approfittando del mio precoce risveglio, decido di uscire di buon ora per gli acquisti settimanali. Carica di energie e paga del caffè appena sorseggiato, mi avventuro per i vicoli deserti della città: la mascherina ciondolante da un orecchio, la faccia ingorda dell’aria fresca che soffia, i passi lesti a raggiungere il centro.
 
Scena : Piazza del mercato. Arrivo alle 7.45 e noto, con amara delusione, che la fila di gente, in attesa di sparpagliarsi fra le bancarelle, è già piuttosto lunga: i volti nascosti dalle mascherine, le mani rivestite dai guanti in lattice, la distanza di sicurezza. Un ragazzo con un gilet giallo fluorescente distribuisce i numeri per permettere ai clienti l’accesso alla piazza, cinque o sei persone alla volta. Mi metto in fila, indosso la mascherina e, silenziosamente, attendo il mio turno d’ingresso insieme agli altri mattinieri.
Tutto è tranquillo. Tutto fluisce fino a quando l’ambulante del banco dei formaggi non fa cenno ad un amico di accedere alla piazza, senza rispettare la fila, senza passare dal ragazzo col gilet giallo che, intanto, continua a dispensare i suoi numeri. Alle mie spalle, un piccolo e tozzo signore coglie l’ingiustizia e, con lo sguardo avvelenato, bofonchia fra sé e sé una manciata di sillabe incomprensibili. Infine, esplode di rabbia. Inizia la bagarre: il tozzo signore urla contro il venditore di formaggi parole indignate, alzando il volume della voce e inerpicandosi in discorsi sempre più sconnessi. L’altro risponde tonante, rivendicando diritti che non ha ed inasprendo ancor di più la carica aggressiva dell’avversario. Altri prodi si buttano nella mischia finché un vigile, dal passo flemmatico, non interviene a sedare gli animi. Ritorna l’ordine. Il tozzo signore lascia la piazza con il volto livido e senza la sua spesa. In compenso, il fegato è ricolmo di rabbia.
 
Scena : Negozio di prodotti per la casa. La cassiera “mascherata” mi scruta con attenzione, mentre sosto sull’ingresso, per sincerarsi che abbia con me guanti e mascherina. Conciliante glieli mostro e lei, come una guardia in un posto di blocco, mi fa cenno di procedere in avanti. Dalla distanza di sicurezza, noto una signora imbavagliata con un foulard nero che domanda ad una commessa rannicchiata davanti ad uno scaffale dove sia l’alcol. La commessa le risponde che non c’è e che, probabilmente, non arriverà prima di un mese. Con aperto disappunto, la signora imbavagliata si rivolge nuovamente alla commessa per chiederle dove possa trovare la tale candeggina e la commessa, con aria indifferente, le risponde che “quella è finita”. A quel punto, la misura è colma e la signora, accantonato ogni contegno, si esibisce in un florilegio di parolacce che gela, istantaneamente, i presenti. La commessa tace, io guardo la signora fra l’incredulo ed il compassionevole mentre altre due donne, scambiandosi uno sguardo ghignante, continuano ad ascoltare lo scurrile soliloquio con malcelato divertimento.
 
Ripercorro la strada per tornare a casa e rifletto. Penso che il confinamento, le limitazioni, i decreti, le code per gli acquisti, le proroghe senza orizzonti, la fobia del contagio, la paura per il lavoro, la frustrazione e la stanchezza, le mascherine, i guanti in lattice e tutto l’insieme di questa complicata situazione comincino a solleticare gli istinti più bassi del genere umano. Penso che l’equilibrio del sistema nervoso, già di per sé fragile, in alcuni stia già palesemente vacillando. Penso che il signore piccolo e tozzo e la signora imbavagliata avessero ragioni legittime per sentirsi, se non altro, infastiditi ma penso anche che il loro modo di esprimere ciò che provavano non sia stato costruttivo. L’esito del loro comportamento è stato fallimentare: il primo è andato via sconvolto e senza la sua spesa, la seconda, alimentandosi del suo stesso livore, ha perso il controllo, senza trovare una buona alternativa alla sua candeggina preferita. Entrambi hanno finito col mettersi in ridicolo davanti a degli estranei che, come spesso succede, non perdono occasione per dileggiarsi delle fragilità altrui.
 
Conclusioni. Le 2 situazioni descritte illustrano 2 modalità inefficaci di esprimere la rabbia, un’emozione che, se gestita efficacemente, può risultare tutt’altro che negativa.
Spesso, quando pensiamo alla rabbia, siamo indotti a credere che essa sia un’emozione “brutta”, distruttiva, che fa male sia alle persone che la provano sia ai rapporti nei quali è riversata. Succede perché tendiamo ad associarla ad una carica energetica incontrollata, impulsiva, dirompente, espressa unicamente per distruggere ciò che incontriamo e per aggredire gli altri.
La rabbia, in realtà, è energia adrenalinica volta a proteggerci, è un’emozione più che utile alla nostra sopravvivenza: ci mobilita per difenderci da una minaccia, ci segnala l’insorgenza di un’ingiustizia, ci avvisa che un ostacolo sta impedendo la realizzazione di un nostro progetto. In molte situazioni, se riusciamo a canalizzarla, diventa potenza preziosa che ci sostiene e ci aiuta nella risoluzione dei problemi e che ci orienta nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Quando, tuttavia, non riusciamo ad esprimerla correttamente, come nel caso dei signori delle scene e , essa rivela il suo lato distruttivo: comportamenti fuori controllo, impossibilità di pensare alle conseguenze delle azioni, impulsività, incapacità di addomesticare l’ondata emotiva che ci attraversa, mancate soluzioni ai nostri problemi. A questo proposito, il poeta Omero (750, a.C) diceva: “La rabbia è una follia momentanea, quindi controlla questa passione o essa controllerà te”.
 
Ecco, allora, che diventa fondamentale imparare a gestire la nostra rabbia in modo tale che risulti risorsa e non sabotaggio, sostegno alle nostre azioni e non impedimento. Per fare questo, dobbiamo, innanzitutto, focalizzare lo stimolo specifico che la suscita e abituarci a “mettere delle parole” che siano in grado di regolare ciò che stiamo provando e di mitigarlo. Se, infatti, riusciamo a calmare la dirompenza della rabbia possiamo trasformarla in una grinta propulsiva che, invece di annebbiare la mente, ci aiuta a trovare strategie di fronteggiamento e soluzioni efficaci ai problemi della vita. Ad esempio, il signore del mercato avrebbe potuto gestire costruttivamente la sua rabbia, rivolgendosi direttamente al ragazzo con il gilet giallo per chiedere spiegazioni in merito all’ingresso dell’amico del venditore o chiedendo assertivamente al venditore di non fare parzialità. Forse, giustizia non sarebbe stata fatta ma, denunciando l’accaduto in modo saggio e civile, il tozzo avventore si sarebbe dato il tempo per calmarsi, avrebbe affermato se stesso in modo credibile e sarebbe riuscito a rimanere in coda, arrivando a portare a casa le sue provviste. La signora imbavagliata, d’altro canto, invece di avvitarsi su stessa e sul suo sterile turpiloquio, avrebbe potuto dialogare fra sé e sé in una maniera meno attivante (dicendosi, ad esempio: “E’ proprio una fregatura non poter fare le pulizie con la mia candeggina preferita ma non è una catastrofe!”), riuscendo a trovare l’equilibrio per contenere la frustrazione.
 
In questo momento, è comprensibile sentirsi tesi, frustrati e, in certe circostanze, francamente irascibili. Cerchiamo, tuttavia, di diventare alleati della nostra rabbia, ascoltiamola ed impariamo a dialogare con essa in modo positivo, utilizzando pensieri e parole che ci permettano di stemperarla e di esprimerla saggiamente e creativamente, evitandoci di rendere le situazioni della vita quotidiana, oggi particolarmente difficili, ancor più complesse di quelle che già sono.
Inoltre, ricordo che coltivare rabbia e risentimento, senza riuscire a trovargli modalità di sbocco regolate e positive, oltre a generare il malessere emotivo del quale abbiamo parlato, indebolisce pesantemente il sistema immunitario, esponendo il nostro organismo alla possibilità di ammalarsi, anche gravemente.
 
Ora vi saluto, citando, a proposito dell’espressione delle emozioni, di tutte le emozioni, le parole del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud (1856), il quale affermava: “Le emozioni inespresse non moriranno mai. Sono sepolte vive e usciranno, più avanti, in un modo peggiore”. E, allora, esprimiamole le nostre emozioni ma facciamolo secondo modalità sane, protettive e funzionali al benessere e capaci di proiettare la qualità della nostra vita nella direzione di un costante miglioramento!
 
Dott.ssa Francesca Rotondo
Psicologa – psicoterapeuta