
IL CONFLITTO INTERIORE.
Quando decidere diventa difficile.
Chi non ha vissuto momenti di grande dubbio davanti a delle decisioni da prendere? Chi non si è sentito incerto di fronte ad alternative diverse, tutte allettanti? Chi non si è sentito bloccato all’idea di intraprendere una strada che comportava, inevitabilmente, la rinuncia ad un’altra? Quando ci troviamo nelle situazioni appena descritte, molto probabilmente, stiamo vivendo una condizione di conflitto interiore, uno stato di tensione, più o meno intenso, che si genera quando fare una scelta diventa difficile.
Naturalmente, è consueto e normale sentirsi indecisi o in dubbio di fronte a delle scelte importanti della vita ma il sentirsi costantemente combattuti fra spinte interne contrastanti può generare un tale logorio interno da compromettere il nostro benessere psicologico ed emotivo e da farci vivere nella sensazione di essere in stallo. In questo modo, possiamo finire incastrati in posizioni poco sane e positive fino a provare, nelle situazioni più complicate, disagio, malumore, ansia e una varietà di sintomi fisiologici.
Una distinzione interessante rispetto ai conflitti è quella fra conflitto consapevole e conflitto inconsapevole. Il conflitto è consapevole se sappiamo esattamente quali siano i fattori in contrasto che ci spingono verso direzioni differenti (“Vorrei cambiare lavoro ma non so se accettare la nuova proposta”, “Sono indeciso se comprare una casa o rimanere in affitto”). Il conflitto è inconsapevole se riguarda istanze mentali opposte della cui origine non siamo coscienti (“Vorrei caricarmi di meno lavoro ma non riesco proprio a dire di no.”, “Vorrei imparare a rilassarmi ma avverto sempre tensione”).
Naturalmente, avere consapevolezza degli elementi che generano il conflitto è molto importante ed è uno degli obiettivi cui si prefigge la psicoterapia. Se, ad esempio, una persona desiderasse fortemente smettere di procrastinare, la psicoterapia potrebbe aiutarla a capire da dove nasce la sua tendenza a rimandare gli impegni oppure quale vantaggio possa avere per lei il non assumersi le responsabilità oppure dove abbia imparato ad esercitare tale forma di resistenza passiva. La consapevolezza è un inizio di cambiamento ed una strada necessaria per avviare la risoluzione del conflitto.
Secondo il punto di vista psicoanalitico, i sintomi che spesso ci affliggono sono il segnale dell’esistenza di un conflitto inconscio non risolto di fronte al quale l’IO del paziente si difende attivando dei meccanismi di difesa. Tali meccanismi di difesa, impedendo l’emergere dei contenuti inconsci, generano i sintomi che non sono altro che delle formazioni di compromesso che, almeno in parte, permettono l’emergere dei contenuti inconsci. I sintomi possono essere di diverso tipo. A livello emotivo, la persona può esprimere nervosismo, ansia, panico, paura, frustrazione, preoccupazione ed instabilità emotiva. A livello fisico, si può osservare blocco del respiro, dolore allo stomaco, muscoli paralizzati, tensione, aumento della respirazione. A livello psicologico, possono comparire ossessioni, stati d’ansia, angoscia, attacchi di panico, riduzione dell’efficienza operativa, profonda astenia, dubbi ed incertezze sotto forma di ruminazione mentale.
Ma alla base di molti conflitti interni possono esserci 3 fattori di vulnerabilità che, insieme a fattori di ordine genetico (come la predisposizione all’ansia), possono generare profonde difficoltà a prendere delle decisioni o a correre dei rischi.
- Le credenze limitanti. I messaggi ricevuti, nel corso della nostra infanzia, possono essere stati interiorizzati sotto forma di comandi circa quello che dobbiamo fare. Tali convinzioni, per lo più inconsapevoli, possono finire per orientare pesantemente le nostre scelte di vita, spingendoci ad agire nel modo contrario a quello che vorremmo. Compiaci, spicciati, sii perfetto, dacci dentro sono esempi di messaggi genitoriali che le persone spesso seguono senza averne coscienza e a cui fanno fatica a disobbedire. Ad esempio, la figlia di una madre compiacente e servile potrebbe vivere il seguente conflitto: “Voglio dire NO a chi mi sfrutta ma sento di non potermelo permettere e dico SI a tutti!”.
- La paura del cambiamento. La zona di comfort è lo spazio mentale nel quale ci si sente al sicuro e all’interno del quale si pensa che nulla debba essere cambiato. Il conflitto nasce dalla difficoltà ad abbandonare tale zona che, per quanto limitante, rappresenta qualcosa di conosciuto e rassicurante. Restare nella zona di comfort significa restare in uno stato di costante preoccupazione poiché non ci si permette di sviluppare la fiducia interiore, necessaria per affrontare i cambiamenti (“Qualsiasi cosa accada, sarò in grado di gestirla”).
- Generalizzazione. Si tratta di una distorsione del pensiero per la quale, a partire da un evento specifico, si traggono conclusioni che, si reputa, valgano per altre situazioni. “Dato che ho fallito in questo progetto, fallirò anche in quest’altro”, “Dato che le mie relazioni sono andate sempre male, anche le prossime andranno male”, “Dato che mi capitano un sacco di guai, sarò sempre infelice”. Tali distorsioni generano emozioni (ansia, panico, preoccupazioni, tensioni) e comportamenti (autosabotaggio, incapacitazione, passività) ad esse coerenti .
Come uscire da una situazione di conflitto interno?
- Acquisire consapevolezza delle diverse parti in conflitto al fine di attivare un “dialogo interiore” che consenta ad esse di esprimersi e di integrarsi.
- Individuare i messaggi genitoriali introiettati e abbandonarli laddove risultino limitanti e non più adatti al proprio benessere.
- Ascoltare le proprie emozioni e comprendere cosa le origina.
- Affrontare il cambiamento: pianificare nuove scelte, valutando i pro e i contro di ciascuna possibilità.
- Cogliere le distorsioni del pensiero che generano ansia e l’irresoluzione del conflitto.
- Nelle situazioni più complesse, farsi aiutare intraprendendo una psicoterapia.