Il Tempo e il Virus

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IL TEMPO E IL VIRUS
Piccole riflessioni sulla vita ai tempi del Coronavirus.

In questi giorni di isolamento, il mio tempo non è un tempo sospeso. Non è un tempo “morto” in attesa di riprendere ciò che i decreti del Governo stanno limitando. Non è uno stare in stand by come fossi un computer messo, momentaneamente, in pausa. Non è un tempo di serie B, da subire come se valesse la pena aspettare per ricominciare a vivere.

È un altro tempo. Un tempo di ritmi lenti, di scelte pensate, di riflessioni che riempiono la testa e, non solo, la sfiorano, di pranzi e cene preparate con cura e di cibi gustati, di domande sul dopo e di progetti da inventare, di rapporti ripresi e telefonate lunghe, di letture iniziate, godute e finite, di hobby ritrovati e di pensieri in libertà.
È un tempo vissuto nella consapevolezza che è un tempo donato, non scontato. Un tempo concesso che avrebbe potuto non essere più il mio tempo.

Da questo virus non mi sono mai sentita immune. All’inizio, dicevano che colpiva solo gli anziani come se tale constatazione fosse rassicurante e rendesse meno cruento e feroce l’impatto di questa epidemia sulle nostre vite. E dicevano che colpiva chi aveva patologie pregresse come se le persone fragili dovessero essere considerate “sacrificabili” rispetto a quelle totalmente sane. Ma chi non ha un parente anziano? Chi non conosce una persona con delle patologie pregresse? Chi non ha una qualche fragilità? Nessuno. E, comunque, seppure tale virus avesse colpito esclusivamente le persone anziane o quelle fragili e ciò fosse capitato a qualcuno di mia conoscenza, il mio tempo non sarebbe stato più lo stesso tempo. Sono grata. Non è andata così.
Dunque, questo tempo di confinamento, di rinuncia, di confusione, di perdite e crisi, di dubbi e pensieri intrecciati è un tempo che a me è stato concesso. Ad altri no.

Io me lo prendo tutto questo tempo. Lo vivo con la gratitudine di chi sa che non è scontato, lo investo e lo reinvento. Ci faccio qualcosa. Lo uso per scrivere, leggere, ascoltare e parlare, riposare e lavorare, ridere e piangere. Come farei in qualunque altro giorno della vita “fuori dalla quarantena” dove, si, i ritmi, i luoghi, i modi, le emozioni sono diverse ma non l’essenza della vita che è la vita stessa.
La vita oggi. La vita prima. La vita dopo.

Forse, quando potremmo riprendere i ritmi di un tempo, ricominceremo a vivere nei luoghi di un tempo, con le modalità e le emozioni di un tempo e, probabilmente, ricorderemo per sempre il modo col quale questa onda anomala ha segnato intimamente e profondamente le vite di ciascuno.
Non dimentichiamoci che la vita di alcuni è cambiata più dolorosamente di quella di altri. Non oso immaginare come possano sentirsi, oggi, le persone che hanno visto morire un parente senza poterlo salutare o poterlo accompagnare nell’ultimo viaggio. Poteva succedere a chiunque, me compresa, e l’unica emozione che riesco a provare, pensando ad un’esperienza del genere, è l’angoscia, angoscia che, nei familiari delle vittime di questa immane tragedia, sarà, sicuramente, tanto potente da frantumare il cuore.
Lamentarsi perché si è confinati, sebbene possa essere comprensibile, è, a mio avviso, un atto di egoismo nei confronti di chi sta provando quest’angoscia.

La vita è una. E questa vita, fra le mura delle nostre case, grandi o piccole che siano, è comunque VITA!
Certo. Una vita da reinventare e ripensare, secondo modalità nuove che possono disorientare e affaticare. Una vita di limitazioni che possono allertare e renderci vulnerabili. Una vita di compromessi e di nuovi equilibri dove s’impara ad essere solidali mantenendosi a distanza. Una vita di paradossi che ci porta a soffrire per la vicinanza forzata alle persone a noi più vicine e che ci porta a desiderare di riavvicinarci alle persone a noi più “lontane” come, ad esempio, i colleghi di lavoro. Una vita che sicuramente induce a porci domande sul dopo e che desta inevitabili preoccupazioni. Ma, sicuramente, una vita che, proprio nella sua straordinarietà rispetto al prima, rappresenta un’opportunità, un’occasione di cambiamento, un pulpito diverso dal quale sporgersi per vedere altre prospettive, una possibilità per osservare dalla giusta distanza ciò che avveniva prima per lasciarlo andare se non soddisfa più, un angolo raccolto per ragionare su se stessi e ricostruire il proprio cammino.

Un’esortazione a godere, qui ed ora, di quel che c’è, respirandolo fino alla fine.
Se c’è un insegnamento che il Covid 19, pur nella violenza e nell’atrocità del suo linguaggio, porta con sé è, a mio avviso, di non dare mai nulla per scontato né la libertà né il fatto che, giorno dopo giorno, in spazi aperti o chiusi, in luoghi grandi o piccoli, vicini o lontani dagli altri, indaffarati o annoiati, soli o in compagnia, sereni o preoccupati, abbiamo il privilegio, negato a molti, di respirare, a pieni polmoni, la VITA, tutta quanta la nostra vita.

Francesca Rotondo
psicologa – psicoterapeuta

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