La paura di crescere: il caso di M.

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DESCRIZIONE DELLA PAZIENTE:

M. è una bella donna di 38 anni, ha una laurea in biologia ed un lavoro da insegnante presso una scuola media della sua città. E’ single e non ha figli. Ha diversi hobby, molti amici e 4 nipoti con i quali trascorre volentieri il suo tempo libero. Inoltre, si occupa dei genitori con costanza e dedizione. Vive in uno spazioso appartamento ereditato dai nonni paterni dove, spesso, organizza feste a tema e serate enogastronomiche.

Si definisce ansiosa ed infantile, afferma che non le manca nulla ma di essere eternamente insoddisfatta e che, da sempre, le sembra di “girare a vuoto”. Delle sue relazioni sentimentali parla con malinconico rammarico, riferendo di un paio di storie significative, finite per sua volontà, a causa di “questo suo non sentirsi mai pronta” che la porta a sfuggire la responsabilità di legami troppo vincolanti. Ha paura dei cambiamenti e non le piacciono le sorprese. È molto curata nell’aspetto, sorride cordialmente e sembra attenta a fare bella figura. È misurata, parla solo quando le si cede la parola ed ascolta con molta attenzione quanto le viene detto. Chiede frequentemente cosa può fare o non può fare e sembra affidarsi completamente al giudizio altrui. Appare una bambina incuriosita e, allo stesso tempo, spaventata.

Decide di intraprendere il percorso psicoterapeutico dopo che le è stata offerta la possibilità di collaborare, come biologa, presso un laboratorio di ricerca, un vecchio progetto accantonato da anni. Rifiuta la proposta ma inizia a sentire un forte conflitto interiore che la mette a contatto con l’idea di “aver perso ancora una volta una grande opportunità”.

Durante i primi colloqui, descrive i sintomi che le creano disagio. Riferisce di sentirsi tesa ogni volta che deve prendere una decisione importante, con il cuore che, le pare, le salti fuori dal petto, dei tremori che le percorrono tutto il corpo ed un’imbarazzante sudorazione che, talvolta, la costringe a rientrare in casa. Non sa mai quale sia la scelta migliore e, per porre fine a tali spiacevoli sensazioni, rinuncia. Anche partire per una vacanza le crea stati di grande agitazione e, per questo, spesso decide di restare a casa. La rinuncia, dunque, sembra l’unica strategia in grado di tranquillizzarla poiché l’ansia permane finché non prende la decisione di lasciar perdere.

Rispetto alla famiglia, racconta di essere l’ultimogenita di 3 fratelli, arrivata inaspettatamente, quando i genitori avevano già superato i 40 anni ed i fratelli erano ormai adolescenti. Descrive i genitori come iperprotettivi, molto orgogliosi di lei e sempre indaffarati sia nel lavoro (gestivano un negozio di abbigliamento) che in diverse attività parrocchiali. Definisce il suo rapporto con loro intenso e positivo, affermando di non poter fare a meno di aiutarli nello svolgimento di alcune commissioni e di andarli a trovare quasi ogni giorno, malgrado godano di ottima salute e siano totalmente in grado di badare a se stessi. Costanti i contatti telefonici fra lei e la mamma. Per descriverli, utilizza i seguenti aggettivi: “La mamma è sorridente anche se è spesso nervosa…impaziente e riservata…il papà è simpatico, lavoratore, ansioso…”. Dei fratelli dice che sono sempre stati molto indipendenti e che, da quando è nata, a casa li ha visti ben poco. Anche adesso arrivano con le rispettive famiglie solo quando è strettamente necessario. Un evento significativo nella vita di M. riguarda la morte improvvisa della nonna materna per un incidente in bicicletta, quando era in terza elementare.

 

LA RICHIESTA:

Dopo un paio di sedute, definiamo il contratto di terapia, ovvero chiariamo esplicitamente gli obiettivi che M. intende perseguire con il lavoro terapeutico e le modalità con cui lavoreremo insieme. M. chiede di esplorare da dove nasca questa “ansia così paralizzante” e di trovare delle strategie per venirne fuori, poiché avverte sempre più la pesantezza di una vita sempre uguale a se stessa e la chiara sensazione “di darsi la zappa sui piedi”.

La vita di M. appare, infatti, segnata da una lunga lista di occasioni mancate, una serie di opportunità non colte che sembrano averla incastrata in un eterno presente che non prevede cambiamenti rispetto al passato né nuovi progetti per il futuro. Racconta: “Ho sempre desiderato viaggiare, conoscere posti nuovi, esplorare…non l’ho mai fatto…, quando ne ho avuto l’occasione, entravo subito in agitazione, cercavo delle scuse, dei pretesti sensati che giustificassero il mio restare a casa…l’unico modo per affacciarmi al mondo erano i libri…un ottimo balsamo che, però, lasciava l’amaro in bocca”. E ancora: “Vorrei tanto cambiare alcuni aspetti della mia vita, mi piacerebbe trovare un compagno ed anche nella scuola vorrei assumermi maggiori responsabili ma quando ne ho la possibilità, rinuncio…in preda ad un’ansia fortissima. Solo dopo aver detto “no” mi sento in pace…”.

 

OBIETTIVI RAGGIUNTI:

  • Grazie al lavoro terapeutico, M. comincia a vedere come si muova sotto la spinta di due forze uguali e contrarie (il desiderio di cambiamento da un lato ed il bisogno di lasciare tutto come è dall’altro) e come tale conflitto intrapsichico la consegni all’ansia, offuscandole la possibilità di pensare lucidamente, di valutare razionalmente i vantaggi e gli svantaggi delle opportunità offerte e di fare delle scelte buone per sé.
  • Inoltre, impara a cogliere la stretta interrelazione fra pensieri (“Non ce la farò”, “E’ meglio che rinunci”), emozioni (la paura) e comportamento (la rinuncia) e a notare come il suo girare a vuoto sia l’esito di un confondersi, dettato dalla paura del cambiamento, in grado di bloccarla in un rigido sistema di abitudini (zona di comfort), tanto rassicurante quanto limitante.
  • Comprende a cosa le serva non cambiare e coglie come il suo restare bambina abbia a che fare con la sua infanzia e con il suo bisogno di tenere uniti i genitori, di nuovo solidali grazie alle cure da prestare alla nuova arrivata. Comprende, altresì, che il suo non allontanarsi sia il modo che ha appreso da bambina per prendersi cura dei due genitori, molto ansiosi e preoccupati (“Da bambina ero il centro del loro mondo…mi tenevano d’occhio perché temevano mi succedesse qualcosa…se solo cadevo la mamma andava subito nel pallone…così il più delle volte cercavo di non dargli preoccupazioni e se mi succedeva qualcosa la tenevo per me”, “Mio papà mi chiama la sola gioia della sua vita…ed io ho sempre sentito una grande responsabilità…”).
  • Infine, riconosce di aver fatto proprie le convinzioni di mamma e papà (“Il mondo e pericoloso”, “Chi va piano va sano e va lontano”, “Chi si accontenta gode”) e, a causa di esse, di non essere mai riuscita a muoversi nel mondo in modo tranquillo e fiducioso. Individua i pensieri che alimentano la sua ansia (“E’ inutile avere grilli per la testa…fai bene quello che fai e accontentati”, “Se mi allontano, succederà qualcosa di brutto e sarà colpa mia”, “Non andare…è pericoloso…”) e comincia a sostituirli con pensieri più rassicuranti e orientanti all’autonomia (“Posso fare nuove cose e impegnarmi per farle bene”, “Posso allontanarmi da casa e non sarò responsabile di ciò che accade in mia assenza”, “Saprò affrontare le difficoltà”).

 

ESITO DEL PERCORSO TERAPEUTICO:

M. comincia prendersi degli spazi per se stessa, decide di partire per una lunga vacanza con delle amiche e valuta di accettare un incarico di coordinamento all’interno della sua scuola. Afferma di sentirsi meno tesa e, grazie ad alcune indicazioni su come respirare, impara a calmarsi e a gestire meglio l’ansia. Alla fine del percorso, è più consapevole dei suoi bisogni di autonomia e dell’origine delle sue emozioni ed afferma di voler continuare a fare nuove esperienze, sentendo dentro di sé la motivazione e la fiducia per poterle affrontare. Continuerà a chiedere il parere dei suoi genitori ma senza anteporre le loro idee o i loro bisogni ai suoi. Comprende che potrà prendersi cura di loro, pur facendo la sua vita e pur affermando la sua identità distinta.

 

CONCLUSIONI:

Nell’ultimo colloquio, M. riferisce di essere decisa ad impegnarsi nella relazione con un collega. Appare più risoluta e sembra non avere più l’atteggiamento da “brava bambina”, remissivo ed intimidito, del primo colloquio: si esprime con maggiore disinvoltura, espone con chiarezza i suoi progetti futuri e non chiede cosa deve o può fare ma descrive serenamente le decisioni che ha preso.

 

Dopo 8 mesi di lavoro, la relazione terapeutica appare trasformata ed il rapporto sbilanciato, nel quale M. si muoveva, affidandosi totalmente alla terapeuta, lascia spazio ad una piacevole relazione alla pari fra due persone adulte.

A 38 anni, dopo un viaggio dentro di sé e nuove decisioni per il proprio futuro, M. sceglie di diventare grande e conquista la sua autonomia, finalmente libera dall’ansia e dalla paralizzante paura di cambiare.

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