La rivincita degli anziani

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LA RIVINCITA DEGLI ANZIANI
Sfatiamo i pregiudizi sugli ultra-sessantacinquenni.
 
Le notizie di questi giorni, relative alle morti degli anziani nelle RSA italiane, aprono uno squarcio, tanto malinconico quanto drammatico, sul già disconnesso sentiero che stiamo attraversando. Il terzo rapporto sul contagio da Covid-19 nelle RSA italiane (6.773 decessi, il 40% riconducibili al virus) descrive, infatti, una vera e propria strage di “nonni”, tanto più che le strutture interpellate nell’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) rappresentano solo un terzo di tutte quelle presenti sul nostro territorio.
 
Di fronte a questi dati, sui quali la Magistratura farà necessariamente le sue indagini, il mio pensiero è volato all’enorme bagaglio di esperienze, ricordi e narrazioni che, con la morte di queste persone, si è disperso per sempre. Allo stesso tempo, non ho potuto non pensare agli atteggiamenti spicci con i quali, spesse volte, si tende a trattare la popolazione degli anziani. Tali atteggiamenti, di spocchiosa presunzione o di compassionevole indulgenza, di arroganza o di chiara aggressività, rivelano, a mio avviso, quanta irragionevolezza ci sia nell’ingratitudine, quanto tenaci siano gli stereotipi e quanto labile e capricciosa sia la memoria umana.
 
Quando nelle fasi iniziali della pandemia, i media vociavano che le cure ai malati Covid sarebbero state garantite, in primis, a chi aveva maggiori aspettative di vita, già allora, a mio avviso, prevaleva un atteggiamento discriminatorio che sembrava condannare alla morte le persone fragili o chi, semplicemente, era più in là con gli anni. Come sia possibile stabilire che una persona ha diritto alle cure e un’altra no, in base ad una cartella clinica o ad un dato anagrafico, non lo so. Mi chiedevo: “Uno Stato che si trova a ragionare nei termini del “Tu si/Tu no” non è, forse, uno Stato che, negando ad alcuni cittadini i propri diritti, implode sui principi della sua stessa Costituzione?”
Ed ancora. In questi giorni, nei quali si discute sulle modalità di ripresa, stabilire, a priori, che gli anziani debbano essere gli ultimi ad uscire dall’isolamento non è, forse, un limitare la libertà di una persona, assumendo in modo pregiudiziale, che la stessa non sia in grado di proteggersi, di proteggere gli altri e di autodeterminarsi?
 
Pensieri. Interrogativi che mi hanno condotta a “rispolverare” ciò che Erik Erickson, psicologo e psicoanalista, affermava, a proposito della vecchiaia, nel libro “I cicli della vita” (1987). Egli sosteneva che l’ultima fase evolutiva fosse il periodo dell’affermazione della propria individualità e del proprio stile esistenziale. In questa fase, diceva, l’individuo ha raggiunto la capacità di essere se stesso (la sua unicità), senza gli eccessivi condizionamenti provenienti dall’esterno. Inoltre, affermava che, se la persona riesce a valorizzare ciò che ha capitalizzato nel corso della sua vita, assumendo un atteggiamento di saggezza che consiste nel vedere il presente attraverso la lente del proprio passato, allora, può arrivare a scongiurare il sentimento della disperazione per ciò che non ha potuto realizzare.
 
Dunque, l’anzianità non è una fase della vita in cui si sperimenta esclusivamente la fragilità, mentale o fisica, così come l’essere anziani non definisce l’appartenenza ad una categoria di persone che hanno raggiunto, con disperata rassegnazione, il finire della loro vita. Il mondo degli anziani, come quello dei bambini, degli adolescenti o degli adulti, è un mondo caleidoscopico, ricco, multiforme. In questo mondo, troviamo persone “compiute”, integre, portatrici di storie, personalità, talenti, ambizioni, emozioni, bisogni, risorse, debolezze, uniche e del tutto personali.
Se è vero che l’avanzare dell’età rende le persone più fragili, è altrettanto vero che, oggi, più che in altre epoche, la popolazione anziana è rappresentata da una moltitudine di uomini e donne attive, brillanti, vitali, capaci di scelte e progetti a venire, persone impegnate nelle attività più disparate (aziende, volontariato, circoli sportivi, associazioni culturali, etc), partecipi a pieno titolo nell’educazione e nell’accudimento delle nuove generazioni, risolute a vivere in autonomia la propria esistenza. Si tratta di persone resilienti, così strenuamente aggrappate alla vita, da riuscire a pensare al proprio futuro con slanci creativi ma, allo stesso tempo, da riuscire a godere del proprio presente, attingendo consapevolmente agli apprendimenti del passato.
Quando, in questi giorni, è stato citato il mito di Enea, struggente ed evocativo, che salva dalle fiamme di Troia il curvo e cieco padre Anchise, caricandoselo sulle spalle, quasi per contrasto, mi è balzata alla mente la figura del saggio Nestore, il quale, sia pure anziano, non esita ad arruolarsi con gli altri eroi greci per andare a combattere contro i troiani.
 
Ebbene, gli anziani non rappresentano un’etichetta “diagnostica” ma un universo nel quale persone fragili e non più in grado di provvedere a se stesse s’incrociano con persone energiche, lucide e capaci di realizzare scelte costruttive, per sé e per gli altri. Gli anziani sono tanti e sono diversi fra loro. Tutti vanno rispettati.
 
E per rispettare è fondamentale ricordare che, a prescindere dalla fase della vita in cui un essere umano si trova ed indipendentemente da quanto possa essere produttivo oppure in forze, le sue peculiarità, la sua dignità e la sua storia vanno sempre riconosciute e valorizzate, così come vanno sempre garantiti i diritti alla libertà e all’uguaglianza (Art. 3 della Costituzione). Tali diritti, inalienabili per tutti, di certo, non possono essere sottratti proprio a tutte quelle persone che, coraggiosamente, hanno combattuto per la nostra libertà, hanno ricostruito il nostro paese e, con amorevolezza ed impegno, hanno prestato cure e protezione alle diverse generazioni che sono venute dopo di loro.
Ho scritto questo articolo, facendo eco a tutti gli ultra-sessantacinquenni, con cui ho potuto parlare in questi giorni, che non si sono sentiti correttamente rappresentati, tutelati e rispettati dalle notizie dei mass-media e dalle scelte di Governo. A loro, il mio grazie.
 
Dott.ssa Francesca Rotondo
Psicologa-psicoterapeuta