Rapporti fra fratelli: il valore delle differenze

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Rapporti fra fratelli: il valore delle differenze.

Frequentemente, fin dal momento del concepimento, i genitori iniziano a fantasticare sul futuro del proprio bambino, su ciò che farà, cosa gli piacerà, quali strade intraprenderà, maturando una serie di aspettative che potrà giocare un ruolo sostanziale sia nel determinare lo stile educativo che adotteranno sia nell’orientare le scelte della prole. Tale atteggiamento può ripetersi con i figli successivi, sebbene, già con il secondogenito, alcune fantasie relative a come possa o debba essere il nascituro, generalmente molto vivide durante l’attesa del primogenito, diventino più sfuocate e meno presenti.

Le aspettative, tuttavia, talvolta, impediscono ai genitori di vedere i figli per quello che realmente sono, inducendoli, ad esempio, ad attendersi dai bambini comportamenti, pensieri ed emozioni simili a quelli che proverebbero loro.

Avere aspettative, naturalmente, non è un errore. È inevitabile ed è un segnale di benessere e propositività. È un atteggiamento che ci consente di pianificare le nostre azioni e, dunque, di dare direzione alla nostra vita. Ma, come accennavamo, può diventare fuorviante se si trasforma in una pressione che non tiene conto della realtà e che spinge i figli a conformarsi per diventare diversi da ciò che sono (ad es. un padre può spingere il figlio a proseguire il suo percorso professionale, senza tenere conto delle reali capacità del ragazzo) oppure quando impedisce di cogliere le naturali differenze esistenti fra i fratelli, ostacolando la valorizzazione dei talenti e delle caratteristiche di personalità di ciascuno.

Ogni bambino nasce con un temperamento (Thomas e Chess, 1989) che renderà quel bambino più energico o più passivo, più socievole o più introverso, più adattabile o più restio ad affrontare i cambiamenti, rispetto ad un altro. Il corredo temperamentale, determinato geneticamente, non è totalmente condiviso dai fratelli. Se avete avuto modo di sentire delle mamme dire: “Rispetto al primo, questo bambino mi sta facendo dannare!” oppure “Questi due bambini non sembrano neppure fratelli!!”, avete avuto dimostrazione di come la genetica incida profondamente sulle caratteristiche socio-emotive dei piccoli, determinandone significativamente le differenze.

Senza considerare che il temperamento influenza la qualità della relazione che ciascun bambino costruirà con i genitori, il tipo di attaccamento che svilupperà nei confronti di ciascuno di essi e la percezione che avrà di queste relazioni, differenziando notevolmente l’esperienza che ogni fratello avrà della propria famiglia. Infatti, se è vero che i genitori sono gli stessi, è altrettanto vero che le reazioni ed emozioni che attivano nella relazione con ciascun figlio sono diverse, in una dinamica complessa nella quale entra in gioco, non solo il bagaglio temperamentale del bambino, ma anche l’esperienza passata che quel genitore ha fatto, in qualità di figlio, durante la sua infanzia ed adolescenza. Ipotizziamo, ad esempio, che una madre, per specifiche esperienze legate alla sua infanzia, faccia fatica a gestire l’agitazione e le emozioni forti del proprio bambino e che reagisca al comportamento del piccolo con un atteggiamento distanziante ed ostile. Tale modalità di relazione condizionerà inevitabilmente gli aspetti di personalità di quel bambino, rendendolo magari ancora più incontenibile ed indipendente. Se quella madre avesse un altro figlio e questo bambino avesse un temperamento più facile, ecco che ella, meno ingaggiata dalle sue esperienze infantili, potrebbe muoversi verso di lui con maggiore disponibilità e prontezza, promuovendo modelli di attaccamento più sicuri e modalità di relazione più positive e fiduciose.

Dunque, i fratelli non sono uguali: elementi genetici, fattori educativi ed aspetti di esperienza concorrono nel definirne il carattere e le modalità con le quali impareranno a relazionarsi con se stessi, con gli altri e con il mondo. Fra l’altro, alcune ricerche sottolineano come anche l’ordine di nascita possa intervenire nel determinare le caratteristiche di personalità dei figli. Secondo questo punto di vista, i primogeniti appaiono responsabili, affidabili e “programmati” per eccellere e realizzarsi, i figli di mezzo, costretti a sgomitare fra i fratelli più grandi e più piccoli, sembrano acquisire un carattere più indipendente ed essere migliori nelle abilità sociali, gli ultimogeniti, sviluppano fascino ed amabilità, risultano più disinibiti e hanno, da grandi, relazioni sessuali prima dei fratelli.

Al di là della validità di queste considerazioni, ciò che ci sembra importante sottolineare è come la personalità sia il frutto dell’interazione di una complessità di elementi che, a partire dal corredo genetico, determinano sia le specifiche capacità di adattamento alle situazioni nuove di ogni bambino sia gli specifici aspetti di vulnerabilità.

Le peculiarità dei bambini vanno valorizzate. Non farlo è un errore che può farli sentire non visti, non accettati e non riconosciuti e generare in loro emozioni negative di rabbia, risentimento, gelosia e colpa. Carichi di queste emozioni, i bambini potranno agire, verso i genitori e verso i fratelli, con comportamenti di rifiuto, di ribellione ed isolamento, generando, a livello familiare, climi densi di tensione, rivalità e non detti.

La conflittualità fra fratelli che, non di rado, si protrae anche in età adulta, può originare proprio da differenze temperamentali non riconosciute o mal gestite, sebbene sia opportuno precisare che una certa dose di rivalità è connaturata alla relazione fraterna e che, il più delle volte, rappresenta solo una dimensione di una dinamica relazionale molto più complessa e variabile che include, oltre agli elementi di ostilità, anche momenti di cooperazione, di cameratismo e scambi giocosi ed amichevoli.

Naturalmente, l’ostilità e i risentimenti fra i fratelli non dipendono esclusivamente da aspetti di temperamento non riconosciuti ma anche da specifiche esperienze vissute dal bambino, non adeguatamente elaborate e superate. Ad esempio, la nascita di un fratellino è un evento potenzialmente molto stressante per i primogeniti poiché comporta una vera e propria detronizzazione, la perdita di un ruolo esclusivo, fino a quel momento posseduto, che può generare sintomi fisiologici (disturbi del sonno, del comportamento alimentare), atteggiamenti regressivi (comportamenti da bimbo più piccolo) o un eccesso di indipendenza (comportamenti da bambino adultizzato) ma, soprattutto, comportamenti di aperta ostilità e rifiuto nei confronti del nuovo arrivato. In questa situazione, uno stile educativo colpevolizzante o poco empatico può esacerbare i sentimenti di ingiustizia e gelosia vissuti dal bambino il quale potrà, invece, elaborare le emozioni negative che sta provando ed avvicinarsi con fiducia al fratellino solo se riceverà dai genitori la vicinanza, la comprensione ed il sostegno di cui ha bisogno (“Hai ragione: è proprio fastidioso quando piange? Ti capisco. Ti va se domani facciamo una passeggiata da soli?”).

Consideriamo il rapporto fra i fratelli una palestra relazionale molto importante per i bambini, uno spazio protetto nel quale essi hanno l’opportunità di definire ed affermare la propria identità autonoma, di confrontarla costantemente con quella differente dei fratelli, di sensibilizzarsi su una tematica complessa come quella annessa all’accettazione delle differenze. Ed, inoltre, laddove ci siano adulti attenti a mediare le conflittualità e capaci di sintonizzarsi con gli stati emotivi e i bisogni di ciascun figlio, uno spazio di apprendimento fondamentale nel quale poter imparare ed esercitare i principi della negoziazione, della condivisione e del rispetto dell’altro.

Cosa possono, dunque, fare i genitori?  Solo brevi indicazioni che ognuno può creativamente adattare alla situazione che vive con i propri figli:

  • Trasmettete ai vostri bambini l’idea che non vi aspettate che siano sempre perfetti, forti, servizievoli, capaci di accontentare gli altri, veloci ma che li accettate esattamente per quello che sono. In questo modo, gli darete il senso che li riconoscete per le loro qualità e che sono importanti per voi.
  • Valorizzate le differenze ed incoraggiateli ad aiutarsi fra di loro. Fategli capire che ogni caratteristica è utile alla famiglia e metteteli nella condizione di dimostrarsi capaci, in questa o quella attività, così da migliorare la loro autostima.
  • Rinforzate i punti di debolezza di ciascun figlio ed, ogni volta che raggiunge piccoli traguardi, sottolineate il successo con una frase positiva (“Sei stato bravissimo oggi a scuola!”Mi sei proprio piaciuto quando hai restituito il giocattolo a tua sorella!”).
  • Se i fratelli litigano, evitate di schieravi, di fare i poliziotti o i giudici. Lasciate che se la sbrighino da soli.
  • Se dopo un litigio, uno dei figli viene da voi, sintonizzatevi con la sua emozione (“Devi essere proprio arrabbiato!”) ed incoraggiatelo a capire cosa è andato storto, senza biasimare l’altro fratello.
  • Se non lo fanno da soli, create momenti in cui possano giocare insieme. La piacevolezza ed il divertimento creano intimità e saldano i legami fra le persone.

Concludo, evidenziando come, a nostro parere, la relazione fra i fratelli sia l’incontro unico e speciale di mondi psicologici distinti, ciascuno costituito dalle emozioni, dalle fantasie, dai sentimenti e dalle esperienze di ogni singolo bambino. Ritengo che sia proprio l’unicità il valore al quale i genitori possono appellarsi per vedere, al di fuori di ogni aspettativa, ciascun figlio per quello che è, per trasmettergli quel senso di valore e competenza che ogni bambino ha il diritto di acquisire e che rappresenta la base per poter sviluppare una buona autostima ed una salda fiducia nelle proprie possibilità. Infine, è anche grazie alle esperienze di confronto/scontro con i fratelli, in presenza di adulti sensibili ed incoraggianti, che i bambini possono imparare a non avere timore dell’altro, ad avvicinarsi alle diversità del mondo con sicurezza e disponibilità e a tessere relazioni umane ispirate ai principi della cooperazione e dell’autentico rispetto delle differenze.